Le impostazioni programmatiche?

Pubblicato: 12 marzo 2009 in Musica

Salve

forse è un titolo pomposo ma sicuramente il contenuto no. Devo solo dirvi che questo blog ha due scopi principali: raccogliere più informazioni possibili sul singolo artista, eventualmente aggiornando l’articolo nel tempo, e… i mei commenti sul album o sul singolo artista. Sulla pagina principale troverete gli artisti scelti da me e tutte le informazioni che sono riuscito a raccogliere. Articoli presi da altri siti e l’autore verranno puntualmente citati. Il resto sarà dalla mia penna.

Tutto qui.

A presto

Niko

peyroux03Nata a ad Athens, Georgia (la città dei R.E.M.), Madeleine Peyroux è cresciuta girando il mondo, ed ha iniziato a suonare al quartiere latino di Parigi, all’età di 15 anni. Dopo aver fatto parte di diverse formazioni jazz, arriva nel 1996 ad incidere il primo disco solista, DREAMLAND, in cui coinvolge musicisti della scena di New York come Cyrus Chestnut, Leon Parker, Vernon Reid e Marc Ribot.
Il disco successivo arriva dopo ben 8 anni (CARELESS LOVE), e la porta ad esplorare non solo più il jazz, ma anche un repertorio pop-rock, sempre con la stessa chiave retrò e con la sua voce alla Billie Holiday.
Il disco successivo, HALF THE PERFECT WORLD, arriva nel 2006 e propone un analogo mix di cover (Tom Waits, Joni Mitchell) ed originali, ottenendo riscontri di critica notevoli.

IL CONCERTO SMS FOR VENICE (nuovo album Bare Bones)
Madeleine Peyroux ha dalla sua una voce non scontata, e un gusto raffinato che nasce da una felice commistione fra la cultura yankee e quella francese. Arrivata nella musica popolare in punta di piedi, si è imposta con uno stile sommesso che attinge liberamente ai generi, impastandoli in una poetica spesso originale che sfocia oggi in «Bare Bones», suo terzo disco, presentato giovedì sera alla Fenice di Venezia in un concerto a favore di SMS Venice, il cui ricavato è stato devoluto alla salvaguardia dei monumenti della città.

E’ un album che si apre nel segno di un delizioso blues vintage, «Instead», che invita a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno: Madeleine ha contribuito alla scrittura degli 11 pezzi che inglobano un pop rarefatto e minimalista, cantato con misura, suonato assai bene e sempre in cerca di profondità, che a tratti guarda a certo mondo della canzone d’autore, da Leonard Cohen fino agli Steely Dan. Autori di rispetto, Joe Henry e Larry Klein, anche produttore.

RECENSIONE DELL’ALBUM “Half the perfect world”
Piacerà a quelli ai quali piace tanto il cinema di Woody Allen o di Robert Altman, a quanti considerano Norah Jones too country da dopo il primo album, a chi resta affascinato dai tono agrodolci e morbidi del cinema esistenzialista francese.
È il mondo di Madeleine Peyroux, classe 1974, southern girl della Georgia, giunta al terzo album con tanto di benedizione e beneplacito dei più grandi del panaroma cantautorale internazionale.
Merito di aver reso questo “Half the Perfect World” il primo disco importante della stagione autunnale 2006 è da ascrivere senza dubbio a Larry Klein, ex svengali di Joni Mitchell, l’uomo che fece traghettare la canadese dai settanta ai novanta senza troppi traumi, e oggi produttore e ideatore del “Progetto Peyroux” a tutti gli effetti.
madelineNel nuovo album di Madeleine ci vuol poco per capire che si va obbiettivamente oltre il precedente “Careless Love”.

Klein e Madeleine lavorano bene insieme, lei firma con lui quattro brani ma li aiutano Jesse Harris, già ghost writer di Norah Jones e, nome ben più accreditato dai molti anni di militanza sulle scene, Walter Becker in vacanza da Donald Fagen per 15 minuti.

Tra gli autori si scorgono i nomi di Leonard Cohen, Fred Neil (“Everybody’s talkin’” dalla colona sonora di “Midnight Cowboy”, “Uomo da marciapiede”), Serge Gainsbourg per non dimenticare il “periodo francese” della ragazza, dai 13 ai 22, anni topici!, Charlie Chaplin (“Smile” uno dei grandi brani del ventesimo secolo secondo Ry Cooder), il Tom Waits di “ The Heart of Saturday Night”, Joni Mitchell (Larry Klein che si prende una rivincita sulla sua ex donna affidando alla Peyroux la delicata “River” in duetto con KD Lang!).

Proprio “River” è uno dei brani meglio riusciti nella raccolta e lascia intuire cosa Klein ha visto nella ragazza e perché questo progetto viene portato oggi avanti con così tenacia.
Collaborano quei musicisti che ti assicurano eleganza e alto casato: Dean Parks alle chitarre, il misuratissimo e atmosferico Gregg Leitsza alla pedal, Larry Goldings dala band di James Taylor al piano wurlitzer e alla celeste, uno strumento che dà alle canzoni un sapore diverso, chiaro frutto di lunghe ore a cogitare da parte di Larry Klein ala ricerca di questo o quello strumento diverso, ma immediatamente riconoscibile.

Tutto ok quindi in ”Half the perfect world” a parte il fatto che quella metà del mondo a cui il titolo fa riferimento è un pò troppo perfetto e un odore da arbre magic si espande nell’aria asettica da macchina nuova appena uscita dal concessionario. Pollice verso, quindi Assolutamente no!. È che nessuno si è voluto sporcare le mani più di tanto in questo “Half the Perfect World” e i momenti più belli sono quelli in cui la ragazza perde un po’ la brocca e – fumata la millesima sigaretta e bevuto il centesimo Jim Beam – si lascia andare, come in “Once in a While “in cui un bell’arrangiamento di archi tira fuori dalla naftalina la bionda Madeleine.

La Peyoroux è in generale un po’ troppo preoccupata quando canta in “Half the Perfect World”, ecco la vera controindicazione. E’ a conoscenza – e se non lo è è bene che lo sia presto – che dischi così li hanno già fatti Astrud Gilberto nei sessanta (Verve/Universal), Cassandra Wilson e Norah Jones (entrambi EMI).

Probabilmente l’ombrosa Madeleine sa che tutti i dischi che non venderà li dovrà ripagare di tasca sua, e sull’unghia, da quell’anticipo sostanzioso che i suoi avvocati hanno estorto alla casa discografica –e hanno fato bene se ci sono riusciti come le cronache dicono! – in cambio della scommessa di un disco che tutti vogliono al numero uno.

Tutti uniti quindi e keep the fingers crossed for young Madeleine, con la speranza che qualcuno la travi fino in fonfo e le faccia mangiare un pò di polvere e ce la restituisca la prossima volta, sporca, sudicia e anche meno bella. Ma con la grinta al posto di quello sguardo triste da retro copertina che fa tanto intenerire ma poco più.

Insomma, visto che lo ha chiamato in causa, più Gainsbourg e meno. In altre parole: Mademoissel Madeleine needs the other half the perfect world to be imperfect if she wanna reachs the stars she aims for!

Ernesto de Pascale

Recensione dell’album Careless Love
Recensione di: JordanSullivan , (Saturday, March 19, 2005)

La copertina non è per niente invitante: la ragazza è seduta in uno squallido vicolo, scalza, con i piedi sporchi e le caviglie gonfie. Una faccia imbronciata da francesina altera e presuntuosa (in realtà Madeleine è americana, di Athens, Georgia). Ma la Peyroux alla Francia è comunque legata: ha vissuto a lungo a Parigi e suonato per le strade del Quartiere Latino.

Com’è il disco? Innanzitutto, quante volte abbiamo sentito additare un nuovo artista come “il Tizio del 2000” o “il Caio del nuovo millennio”? È la solita storia di chi grida “Al lupo! Al lupo!”… chi mi crederà adesso quando dico che Madeleine Peyroux è nientemeno che la reincarnazione di Billie Holiday? Il timbro e la modulazione della voce, quella cadenza blues… Between the bars è la sua Strange Fruit, Lonesome Road è la sua Travelin’ Light. Billie Holiday aveva la gardenia? Madeleine ha la margherita.

Certo, la ragazza ci mette anche del suo, suona la chitarra e firma uno dei 12 brani del disco, che è fatto di cover. Canzoni del presente (Leonard Cohen, Bob Dylan) e del passato (W.C. Handy – il padre del Blues), tutte arrangiate con un approccio molto fresco al jazz e al blues. Niente di artisticamente smisurato, nondimeno l’album si rivela del tutto coerente. Rivestito di un suono compatto e lieve allo stesso tempo, Careless Love è desideroso di cedere la scena alle seducenti parole che affiorano dalla bocca di Billie, ops! Di Madeleine.

INTERVISTA
È prevista per il giorno 12 settembre 2006 l’uscita nei negozi del nuovo album di Madeleine Peyroux, intitolato Half The Perfect World (Universal). Giunto a due anni di distanza dal precedente Careless Love (Universal), l’album è una piccola perla musicale per intensità e delicatezza in cui confluiscono blues, cantautorato, gusto per la musica del passato.
Un album in cui l’espressiva voce della Peyroux interpreta brani di artisti come Tom Waits, Joni Mitchell, Serge Gainsbourg.
peyroux02Brani di autori diversi ma perfettamente legati tra loro, tenuti insieme da un forte filo conduttore musicale. “La scelta dei brani” – sottolinea l’artista – “si è basata soprattutto sulla volontà di cercare canzoni recenti. Nell’album precedente, a differenza di Half The Perfect World, la scelta era caduta su tutti brani della prima metà del Novecento”.
La perfetta sintonia tra i brani, sia dal punto di vista della musicalità che dell’atmosfera, non si ha solo tra le cover, ma soprattutto – e qui più che mai si rivela il talento dell’artista – nei quattro brani originali che appaiono nell’album, il primo dei quali scritto con il produttore Larry Klein e con Walter Becker (Steely Dan).
Alla domanda se la scrittura sia volutamente in funzione del resto del materiale dell’ album, Madeleine risponde che “molto per immergere le canzoni nella giusta atmosfera si ricava grazie alla produzione, agli arrangiamenti”.
Per la produzione Madeleine, che con Half The Perfect World giunge al suo terzo album, può contare sulla partnership fidata con Larry Klein, produttore anche di Careless Love (che ha venduto oltre un milione di copie).
“Tutte le persone che lavorano con me sono molto brave. E’ importante avere attorno a te persone su cui puoi contare, è un appoggio molto più solido averle piuttosto che non averle”.
Oltre ai partner fidati, la Peyroux è abituata ad avere a che fare con ospiti di grande calibro, a cominciare da alcuni dei musicisti che hanno suonato con il Tom Waits di cui adesso propone il brano “(Looking for) The heart of Saturday night” (Mark Ribot, Greg Cohen, presenti sul suo primo album ), fino a Greg Leisz e Till Bronner che prendono parte al suo ultimo disco.
“L’esperienza di poter lavorare con artisti di questo spessore è stata meravigliosa. Sono tutti musicisti molto bravi, e soprattutto sono stati in grado di mostrare la capacità di entrare ‘dentro’ la musica, di interagire a fondo con la musica. Questo è stato un grande goal sia per me che per il mio lavoro”.
Ma adesso il prossimo goal sarà forse un grande salto verso il riconoscimento internazionale, per il quale l’artista con Half the Perfect World dimostra di avere tutte le carte in regola. “ Con questo album come artista sto crescendo, tutto sta diventando più importante, le aspettative e la posta in gioco sono molto più alte. Proprio per questo il futuro potrebbe fare meno paura, ma allo stesso tempo potrebbe essere anche un passo che fa più paura. Non si può mai sapere!”.
C’è buon gusto nella scelta dei brani , così che a precedere di poco la conclusiva Smile di Charlie Chaplin troviamo La Javanaise di Serge Gainsbourg. Visto che la Peyroux ha vissuto diversi anni a Parigi viene da chiedersi se questo misterioso e sensuale personaggio le sia, o sia stato, in qualche modo di ispirazione, ma lei semplicemente risponde che “Il brano è uno dei più alti e riusciti esempi di scrittura, letteratura, teatro, poesia. È per questo che l’ho scelto”.
Di fronte all’imminente impegno dell’uscita dell’album, rivolgendo lo sguardo ai futuri progetti, Madeleine risponde che certamente sarà impegnata in tour e promozione, ma che soprattutto si augura di continuare a scrivere, scrivere sempre nuovo materiale originale.
Questo speriamo anche noi, visti i buoni risultati, che possa essere l’augurio, e che possa portarle fortuna per tutti i prossimi progetti.

Giulia Nuti

MADELEINE PEYROUX … IL JAZZ HA TROVATO LA SUA ULTIMA DIVINA INTERPRETE
La storia artistica di Madeleine Peyroux è di quelle che fa davvero piacere raccontare, perché dimostra come la tenacia e la passione spesse volte riescano a ripagare ampiamente un cantante che incontra mille difficoltà non tanto per sfondare, quanto per restare a galla. Madeleine è una di quelle che può gonfiare il petto e dire, orgogliosa, “io ci sono”. Lei c’era, non ha mollato e c’è.

Ci spieghiamo meglio. Madeleine Peyroux, americana e francofila, si è affacciata sulle scene musicali che aveva 25 anni. Niente di strano, se volete. Un paio di dettagli, però: Madeleine fa jazz, che a metà anni ‘90 non era proprio un genere che andasse per la maggiore. Madeleine veniva dalla strada, nel senso che non era cresciuta coccolata da scuole di musica ma si era fatta “on the road” (ha suonato anni per le stradine del Quartiere Latino di Parigi). Madeleine proponeva e propone tuttora grandi classici del jazz, ma nella veste di re-interprete, più che di interprete. Salta all’occhio quindi che il suo disco di debutto, “Dreamland” (1996), abbia goduto ai tempi di un riscontro di pubblico e critica davvero incredibile; nessuna paura a confrontarsi con le grandi, anzi, a testa alta Madeleine ci propone la sua versione della “Vie En Rose” di Edith Piaf.

Un po’ meno incredibile è il seguito della storia. Baciata dal successo, Madeleine sparisce. Otto anni di silenzio, non tanto voluti o motivati da crisi artistiche, bensì obbligati dal fatto che il jazz non tirava; di più, il suo stile richiama in maniera impressionante le contraddizioni meravigliose della ultima Billie Holiday, fumosità e pastosità, sogno e concretezza, essenzialità ed elaboratezza. Madeleine continua ad esibirsi nei club da Los Angeles a New York, ma i tempi non sono maturi. Poi ci fu lei. La rivoluzione Norah Jones, che trascina violentemente gli occhi del mondo su di lei e su un genere che fino ad allora sembrava poter essere solo d’élite, il jazz; dopo Norah ne sono venuti tanti(vedi Micheal Bublé, Diana Krall), e fra loro c’è anche Madeleine Peyroux, ri-scoperta dalla Rounder Records nel 2003. Che non è una nuova leva, ma un graditissimo ritorno.

Un nuovo album, “Careless Love”. Una nuova sfida interpretativa, con il pianoforte e la sua voce a completa disposizione delle emozioni dei Grandi, quelli con la G maiuscola; tra questi, Bessie Smith (“Careless Love”), Elliott Smith (“Between The Bars”), Hank Williams (“Weary Blues”), Leonard Cohen (“Dance Me To The End Of Love”) e la Josephine Baker di “J’ai Deux Amours”. Uno sconfinamento del jazz nel blues, per quel particolare tocco che rende ogni suo pezzo così magico. Una nuova, straordinaria affermazione di capacità compositiva (segnaliamo “Don’t Wait Too Long”).
Un’artista completa, insomma. Garbata, sottile, penetrante, di gran classe. E con un’immagine così “global” ma contaminata di essenze gitane, un mix irresistibile, un contrasto che fa di lei un personaggio tutto da scoprire.
“Careless Love” ci sembra un buon inizio, per perdersi nei meandri profumati dei molteplici mondi di Madeleine Peyroux.

TESTIMONIANZA
Un concerto bellissimo. E’ rincuorante sapere che esistano e si manifestino ancora cantanti di tale calibro: ha rubato da tutte, ma copiato da nessuna. Pochi giorni fa, il 31 di luglio, Madeleine Peyroux ha omaggiato Palermo con un concerto memorabile. Non è una novizia: il suo primo album Dreamland è uscito nel mai lontano ’96. Classe ’74, è ancora giovanissima per una carriera jazzistica che non finirà di sorprenderci. E’ interessante sapere per aver un’idea dell’autenticità del personaggio (”autenticità del personaggio” è un ossimoro) che Madeleine è scomparsa da otto anni dopo il suo debutto discografico per poi riapparire con Careless Love nel 2004. La trentatreenne cantante è cresciuta, tra l’altro, tra Parigi e New York, coniugando nelle sue vene il demone blues di Billie Holiday con gli accenti esistenzialisti di Édith Piaf.
446px-madeleine_peyroux-767924A Palermo, nella cornice storicamente consacrata al dolore dello Spasimo, ha fatto spasimare i disillusi audiofili come me, stanchi della barbarica globalizzazione dei gusti, nonché della plastificazione degli stili, regalandomi emozioni che sembravano appartenere ad un immaginario ipotetico.

Non vibravo da tempo ai concerti (di qualsiasi tipo e genere potessero essere). Ho notato, però, con un certo disagio, quanto la Madeleine abbia sofferto per non essere riuscita ad istaurare un sentimento di comunicazione partecipativa con un pubblico palesemente sprovvisto delle nozioni di grammatica inglese Lesson one. Io stesso mi sono sentito un handicappato. Ho Chiesto in continuazione: cosa ha detto?… come?… Dove?

Questo è stato l’unico neo: vecchio e tremendo come un melanoma gigante (perdonatemi il cattivo gusto).

Gustatevi questa intrigante canzone

ed anche questa:

Sito ufficiale

http://www.madeleinepeyroux.org/

ANTONIO FORCIONE – chitarrista compositore

“Hai un tocco bellissimo” (Paul McCartney)

forcione1

“Un musicista di statura mondiale … dotato di una tecnica invidiabile, porta la chitarra a nuovi livelli di espressione grazie a una miscela di forza melodica e sensazionali effetti di percussione. Forcione si e addentrato in territori che, prima di lui, nessun chitarrista aveva osato esplorare, con risultati davvero straordinari: se mancate la sua performance, lo fate a vostro rischio e pericolo!” (The Stage)

Nato in Molise, si e’ diplomato in arte applicata all’Istituto d’Arte di Ancona distinguendosi particolarmente nella scultura e nel disegno. Dopo aver  trascorso due anni a Roma, studiando armonia e insegnando chitarra, nel 1983 si e trasferito in Gran Bretagna alla ricerca di ispirazione. Entro un anno aveva già registrato il suo primo album (Light and Shade), seguito da altri tredici album, in gran parte composti da materiale originale, per etichette discografiche quali Virgin Venture Jazzpoint e Naim. I suoi ultimi lavori sono entrate nella top 10 di varie classifiche di musica jazz del Regno Unito. Le sue composizioni più evocative sono anche state utilizzate per film e per programmi televisivi.

Acclamato come uno dei musicisti più versatili d’Europa, Antonio Forcione esce dagli schemi convenzionali della musica per chitarra, si avventura in una ricerca che va oltre al linguaggio armonico-melodico, esplora ossessivamente lo strumento fino a ricavarne una sonorità che diventa impronte digitale, la sua firma sonora se si può dire.. Servendosi di una consapevolezza jazzistica con influenze brasiliane, spagnole, folcloristiche e nord africane.

Gira il mondo in lungo e largo partecipando ai festival internazionali, come Womad UK,Womad Sicilia,BreconJazz festival, Delhi, Bombay, Melbourne,Sidney, Adelaide, Ankara, Istanbul,Harare, Beirut, Roma, Verona,Milano, Parigi, Edinburgo, Montreal,Cordoba, Madrid, Arts Festival di Hong Kong,Singapore, Montreux,Jakarta, e in numerosi festival della chitarra internazionale con Martin Taylor, Bireli Lagrene, Barney Kessel, Dominic Miller, Chano Dominguez, Ed Jones, Rossana Casale, Erkan Ogur,Trilok Gurtu, Bosco de Oliviera, Neil Stacey, Andy Sheppard, Joji Hirota, Steve Lodder, Alex Wilson, , John Etheridge, Vic Juris, Ronu Majumdar , Jason Rebello, Augusto Mancinelli ecc. Ha aperto come solista per John Scofield, Phil Collins, John McLaughlin, Zucchero, Bobby McFerrin, Pino Daniele, Van Morrison e altri.

Intenso e straordinariamente creativo, Antonio Forcione e’ un artista che si distingue dagli altri musicisti. Imprevedibile, rappresenta la celebrazione di ciò che la vita stessa contiene di inaspettato. La sua musica ha una delicatezza rara, oltre ad esprimere umorismo e passionalità.

Uno dei massimi virtuosi della chitarra presenti sulla scena internazionale … uno dei pochissimi musicisti che sono in grado di incantare qualsiasi tipo di pubblico … dotato di un grande magnetismo personale” (Radio Jazzfm)

Testimonianza pubblicata su Jazzitalia.it

Antonio Forcione Quartet
di Francesco Lombardo
23 Ottobre 2003 a La Palma Club di Roma

Jenny Adejayan, Antonio Forcione, Giorgio Serci

Può capitare talvolta che la formazione stessa, a guardarla così, prima ancora che cominci a suonare, lasci trasparire la cifra della propria identità musicale, di un’ “idea” di musica.

Così, a vedere Antonio Forcione (ormai londinese d’adozione, in Italia dopo molti anni) che presenta il suo quartetto a La Palma Club, si intuisce subito quale spirito animerà la serata; il suo virtuosismo chitarristico, spontaneamente non convenzionale, esplorativo, sarà lo strumento del viaggio tra le musiche del mondo, e lì sul palco ci sono i suoi attuali compagni di viaggio: Giorgio Serci, anche lui alla chitarra, la violoncellista Jenny Adejayan e il percussionista brasiliano Adriano Pinto.

Si parte, e l’aria comincia a vibrare in un duetto tra la chitarra classica di Forcione e le percussioni di Pinto: proprio la connotazione ritmica quasi percussiva del fraseggio di Forcione costituisce il nucleo attorno al quale si aggregano gli arrangiamenti delle composizioni proposte, tratte dal suo ultimo lavoro, Touch Wood. Pinto asseconda il dialogo, raccogliendo gli accenti e riflettendoli con un’improvvisazione in cui si respira il calore etnico della sua cultura musicale. Si inserisce l’altra chitarra classica di Serci: il suo approccio allo strumento è forse più canonico, ma proprio per questo è distinguibile ed efficacemente complementare allo stile di Forcione; quindi si innesta la suggestione del violoncello della Adejayan, ora pizzicato su una linea di basso, ora ad amalgamare il sound nelle note lunghe.

Ne risulta un caleidoscopio di sonorità acustiche in grado di evocare le atmosfere più diverse: misteriosa e arabeggiante in Ahlambra (), solare dell’ispirazione cubana in Gigolo, avvincente nella Tango suite di Piazzolla e ancora ossessiva e festosa nel folk trascinante di Tarantella.

Il progetto proposto da Forcione si muove nel solco dell’esperienza, più o meno recente, di grandi chitarristi (su tutti John McLaughlin ad Al Di Meola) dei quali sembra aver assimilato anche l’attitudine alla performance: ed è infatti il gioco teatrale del “contendersi” gli spazi nei duetti con Pinto o Serci che conquista il pubblico.

Ma non abbiamo ancora visto ed ascoltato tutto.

Forcione prende la chitarra acustica e rimane da solo sul palco. Il vortice di suoni del quartetto sembra esser stato risucchiato nel foro della sua chitarra, e riemerge orchestrato magicamente solo dalle sue mani per Touch Wood: armonici, reef sui bassi, la cassa usata come percussione, glissati usando le chiavi… insomma tutto (o quasi) quello che si può tirare fuori da una chitarra, in un silenzio sospeso di stupore.

Lo spirito che avrebbe animato la serata si intuiva, ma sorprende comunque l’ironia della chitarra di Forcione, il feeling con i suoi tre compagni di viaggio, il piacere di riscoprire nella loro musica la levità di un gioco che per un’ora e mezza ci accompagna così lontano… e mentre si abbracciano per raccogliere la nostra gratitudine, ci ritroviamo di nuovo qui, in un club di Roma.

Intervista ad Antonio Forcione

Ciao Antonio e grazie per avermi concesso questa preziosa intervista.
Cominciamo con le domande:

GB – Quali sono state le tue prime influenze?

AF – Limitandoci alle mie primissime influenze musicali: La nuova Compagnia di Canto Popolare, Musicanova, De Andrè, Dalla, Battisti, Guccini, De Gregori, Santana, Deep Purple, Bob Dylan, Pink Floyd, Joni Mitchell, James Taylor, Baden Powell, Django Reinhardt etc etc .

GB – Perché hai scelto la chitarra acustica?

AF – Forse perchè mio Padre mi ha regalato una chitarra acustica per Natale quando avevo appena dieci anni… Devo ammettere però che nonostante io abbia suonato per anni con passione anche la chitarra elettrica, il richiamo dell’intimità del suono acustico mi ha in un certo senso ‘riconquistato’.

GB – Al giorno d’oggi che musica ascolti?

AF – Anche se può sembrare un po’ vaga come risposta, mi ispiro ricercando orizzonti sconosciuti ascoltando musica/musicisti che non conosco.. Durate i miei viaggi, mi capita spesso di incontrare musicisti incredibili che suonano musica con un dialetto diverso dal mio.. sono questi intercambi che a mio avviso alimentano e arricchiscono il linguaggio musicale.

GB – Come hai sviluppato il tuo stile? Che tipo di ricerca all’interno della tua musica hai condotto?

AF – Credo che ‘l’ascolto attivo e aperto’ sia il primo punto fondamentale per lo sviluppo di un musicista. L’approccio creativo con lo strumento non può che raffinare tecnica stile e complicità con lo strumento stesso.

GB – Come nasce una tua composizione? Dal pentagramma, dallo strumento, dalla melodia, dall’armonia?

AF -Il mio processo creativo/compositivo è molto semplice. Parto sempre con il visualizzare ‘l’atmosfera’ che voglio captare, tipo ‘nostalgia’ ’snow’ ‘Night Passage’ ‘Horse run’ etc.. e poi provo a tradurla tramite i suoni degli strumenti che ho a disposizione. Tutto qui.
Non faccio uso del pentagramma durante il processo compositivo.

GB – E una tua improvvisazione da cosa ha origine? Fai uso dei pattern o sono melodie spontanee?

AF – Quando devo improvvisare, la sfida grande per me e’ quella di trovare la bellezza e lirismo.
Cerco sempre di evitare i patterns.

GB – Parliamo del tuo modo di suonare la chitarra acustica. Solo plettro? O qualche volta fingerstyle?

AF – Ironicamente suono la chitarra classica (e quella fretless) con il plettro mentre la chitarra steel con le dita! Tendenzialmente mi sento più a mio agio con il plettro (specialmente nei momenti di improvvisazione)

GB – Io credo che chitarristi come Hedges, Kottke, Emmanuel, Morone, che fanno uso della chitarra acustica, siano distanti dalla tua visione della musica. Puoi farci il nome di qualche artista simile a te, nel tipo di musica?

AF – Se si può parlare di scuole,stili e tendenze musicali, io mi reputo più della scuola mediterranea che la scuola fingerstyle Americana.

Limitandomi ai chitarristi (non simili a me) che mi hanno ispirato sono: Egberto Gismonti, John McLaughlin, Vicente Amigo, Paco De Lucia, Pat Matheny, Ralph Towner, Erkan Ogur e tanti tanti altri.

GB – Come mai quel tipo di formazione? E’ incredibilmente avvincente la combinazione da te proposta: soprattutto il violoncello che si fonde alle percussioni e alle chitarre. Tutto incredibilmente amalgamato.

AF – Ti ringrazio per il complimento, ho sempre amato i suoni acustici e con Adriano alle percussioni, Jenny al Violoncello e Nathan al contrabbasso e flauti mi sembra di riuscire a convergere le esperienze e gli ingredienti giusti per un ottima cena 🙂
Il DVD/CD ‘Antonio Forcione Quartet in Concert’ registrato dal vivo al Trinity Theatre l’anno scorso ne dà la prova.

GB – Una curiosità su Alhambra: esistono due versioni, una su “Ghetto Paradise”, l’altra su “Touch Wood”. Ci puoi spiegare qualcosa a riguardo?

AF – Quando il progetto Touch Wood era appena avviato Jenny (che adora il brano in particolar modo) mi ha suggerito di ri-registrare il brano con la nuova formazione, quindi con un sound più acustico. Cosi, il nuovo arrangiamento di Alhambra con la mitica voce flamenco-Gitana di Diego el Cigala, violoncello, due chitarre e percussioni, il risultato era cosi convincente che ho deciso di registrare una seconda versione.

GB – Come mai ti sei trapiantato in Inghilterra? L’Italia non è al passo musicalmente o cosa?

AF – Sono arrivato qui in Inghilterra un po’ per curiosità un po’ perché a Roma allora io non trovavo né stimoli né lavoro come musicista.
La ragione per cui dopo più di 20 anni ancora vivo felicemente a Londra (a parte famiglia) è perché le infrastrutture qui mi permettono di continuare a fare il lavoro più bello del mondo.

GB – Quanto è importante ascoltare più generi musicali, più stili, più composizioni dedicate a diversi strumenti, e non fossilizzarsi troppo su un genere o solo sulla chitarra?

AF – A quello che hai giustamente puntualizzato tu sopra e che condivido pienamente, aggiungerei che una vita ‘piena’ di emozioni, arricchisce l’animo e la musica. Evviva il cuore aperto!

GB – Secondo te perché molti ragazzi che si accingono a suonare lo strumento sono folgorati dai soliti guitar-hero del metal o del progressive ignorando altri generi importanti? Cos’è che attrae?

AF – Non vedo niente di male se alcuni ragazzi trovano nel metal nel progressive o addirittura nel Punk qualcosa da ascoltare o su cui identificarsi. Quando si e’ ragazzini c’è più bisogno di affermare la propria identità e questo a volte può manifestarsi attraverso la scelta di certi suoni o atteggiamenti a volte un po’ estremi.

Io personalmente ho cominciato a suonare e comporre diversamente quando ho ridimensionato il voler a tutti costi affermare il mio ‘io’ ai danni della musica… Non so se mi sono spiegato (?)

GB – Un’ultima domanda: come vedi i siti che fanno pagare gli mp3, e cito ad esempio Mp3Sparks.com o JustMusicStore.com? Non credi che siano il futuro? Un semplice click, una carta di credito, un ipod, et voilà, tutta la musica a portata di mano!

AF – gli Mp3 mi vanno benissimo, ma non bisogna dimenticarsi di sostenere anche la musica suonata dal vivo! ‘I veri artisti sono coloro che regalano emozioni incredibili perchè vere..! Spero davvero che parallelemente a questa affascinante e complessa realtà virtuale in cui viviamo, il ‘vero futuro’ si rifletterà attraverso l’amore per l’arte le cose le persone e gli artisti veri.

GB – Antonio, grazie mille per quest’intervista, è stata un’esperienza indimenticabile, anche se il mio sogno rimane conoscerti di persona e suonare con te insieme, fosse anche solo per 10 minuti. Se capiti in Molise fammi sapere, visto che la mia Puglia è vicina!

AF – Grazie a te.

Intervista di Gaetano B.

DISCOGRAFIA

Heartplay

2005 Naim

 Heartplay

Heartplay is a subtle and sublime collaboration. Charlie and Antonio play a combination of compositions by each other, and a beautifully sparkling track called Child’s Play by Fred Hersch.

  1. Anna (Forcione)
  2. If… (Forcione)
  3. La Pasionaria (Haden)
  4. Snow (Forcione)
  5. Silence (Haden)
  6. Child’s Song (Fred Hersch)
  7. Nocturne (Forcione)
  8. For Turiya (Haden) [listen]

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Charlie Haden – double bass
Antonio Forcione – guitar

Recorded at: The Californian Institute of the Arts on 26 – 28 June 2006.
Recorded by Ken Christianson, Pro Musica, Chicago

Tears of Joy

2005 Naim CD087

Tears of Joy

Antonio’s latest album featuring the quartet plus a host of very special guests

  1. 01. Tears of Joy
  2. 02. Sahara Rain
  3. 03. The Long Winter
  4. 04. Spanish Breeze
  5. 05. All Summer Long
  6. 06. The Cool Cat
  7. 07. Fragile
  8. 08. Landmark
  9. 09. Waltz for Django
  10. 10. Earth Spirit

Musicians appearing with Antonio on this recording:
The Quartet:
Antonio Forcione (Italy) – Guitars
Jenny Adejayan (Grenada/Nigeria) – Cello
Adriano Pinto (Brazil) – Percussion
Igor Outkine (Russia) – Accordian With special guests:
Ronu Majumdar (India)- Bansuri
Nathan Thompson (Australia) – Double Bass
Enzo Zirilli (Italy) – Drums
Micheline Van Hautem (Belgium) – Vocals
Alex Wilson (UK/Sierra Leone) – Piano

Touch Wood

2003, Naim Label

Touch Wood

Antonio’s latest album featuring the quartet plus special guests Sabina Sciubba and Diego el Cigala.

  1. Touch Wood
  2. Tarantella
  3. Mirror, Mirror
  4. Alhambra
  5. Sunstep
  6. Gigolo
  7. Tango suite
  8. For Vic
  9. Watercolour
  10. Nostalgia
  11. Scrambled Eggs
  12. Mirror

Musicians appearing with Antonio on this recording:
The Quartet:
Antonio Forcione – nylon, steel, 12-string guitars & fretless Ouddan guitar
Giorgio Serci – Guitar
Jenny Adejayan – Cello
Adriano Pinto – Percussion
With vocalists Diego el Cigala and Sabina Sciubba.
Enzo Zirilli, Pac Helder, Josue Ferreira, Matheus Nova, Bob Stukey.

Live!

2000, Naim Label

Live! album cover

Live solo guitar performance recorded at The Vortex in London.

  1. Heartbeat
  2. Acoustic Revenge
  3. Sereno
  4. I heard it through the grapevine
  5. Mirage
  6. African Dawn
  7. Diary
  8. Nocturne
  9. Black Magic
  10. Night Passage

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Nic France – drums
Rony Barrak – Middle Eastern tabla

Vento del Sud

2000, Naim Label

Vento del Sud album cover

  1. Come un Bambino
  2. La Mia Infanzia
  3. Caruso
  4. Dedicato al Sud
  5. La Canzone di Marinella
  6. Fuori Gioco
  7. Cammina Cammina
  8. Torna a Surriento
  9. Maria Mari
  10. Anna

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Benito Madonia – voice
Rossana Casale – voice

Ghetto Paradise

1998, Naim Label

Ghetto Paradise album cover

  1. Maurizio’s Party
  2. Alhambra
  3. Night Passage
  4. Indian Cafe
  5. Horserun
  6. Sereno
  7. Salsa and Basilico
  8. If…

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Trilok Gurtu – drums, tablas, shakers
Kai Eckhardt de Camargo – fretless bass
Roberto Manzin – alto sax
Davide Mantovani – bass & synth horn
Sonal Varsani – voice
Ed Jones – soprano sax
Ansuman Biswas – vibratone, overtones
Bosco de Oliveira – percussion, timbales
Nic France – drums
David Vaughan – synth

Talking Hands

1997, Naim Label, naimcd 020

Talking Hands album cover

  1. Birdland
  2. David
  3. Festival
  4. Karate
  5. Letter from Spain
  6. Talking Hands
  7. Dylan
  8. Czardas
  9. Snow

Musicians appearing on this recording:
Antonio – nylon string guitar
Neil Stacey – steel string guitar

Meet me in London

1997, Naim Label, naimcd 021

Meet me in London album cover

  1. Visions
  2. Take Five
  3. Caruso
  4. Why can’t we live together
  5. Night Train
  6. Could you believe?
  7. When we two parted
  8. Brasilico
  9. Estate

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Sabina Sciubba – voice
Davide Mantovani – fretless bass
Bosco de Oliveira – percussion
Adam Glasser – harmonica
Malcolm Creese – double bass

Dedicato

1996, Naim Label, naimcd 013

Dedicato album cover

  1. Tiramisu
  2. Twilight
  3. Maya’s Song
  4. Dedicato
  5. I heard it through the grapevine
  6. Tango Nights
  7. Attempo
  8. Come Together
  9. Folk Song
  10. Nocturne

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Bosco de Oliveira – percussion
Julian Arguelles – soprano sax
Sabine Kabongo – voice
Malcolm Creese – bass

Acoustic Revenge

1993, re-released on Naim Label in 1997, naimcd 017

Acoustic Revenge album cover

  1. Gypsy Dreams
  2. Acoustic Revenge
  3. Infanzia
  4. Enigma
  5. Black Magic
  6. Anna
  7. Easy Going
  8. Heartbeat

Musicians appearing with Antonio on this recording:
Davide Mantovani – fretless bass
Peter Lockett – percussion
Marcial Heredia – guitar

Live at Edinburgh Festival

1993, Inspiration, CDFS

Live at Edinburgh Festival album cover

  1. A Tempo
  2. Waltz
  3. Snow
  4. Superlatino
  5. Sunstep
  6. Folk Song
  7. Imprivisation
  8. Light & Shade

Musicians appearing on this recording:
Antonio – nylon string guitar
Neil Stacey – steel string acoustic guitar

poema Poema(1992, JazzPoint Records, CDJP 1035)

Celebration

1987, Virgin Venture Records, CDVE7

  1. For Vic
  2. On Return
  3. Celebration
  4. Folk Song
  5. Fuente Fresca
  6. Nostalgia
  7. Carousel

Un assaggio della sua bravura

alborada“ Éthos è poesia. Pura poesia ungarettiana che sa di Montale e di Saba. Scevra e tesa a purificare il suono per ricondurlo all’essenzialità espressiva ed al silenzio. Non a caso alborada, nella Galizia spagnola, è una semplice melodia popolare per soli strumenti che assume anche il significato più ampio del fare musica al sorgere del sole.
Éthos rappresenta non solo il nascere e lo sbocciare di un nuovo progetto discografico rarefatto come l’aria del primo mattino ma scava nell’etica rigorosa di quell’archetipo che è il quartetto d’archi, laddove ogni strumento diviene voce umana in grado di cantare con l’essenzialità espressiva che fa della singola voce l’elemento portante del suono collettivo. Alborada è dunque una voce unica che accoglie di volta in volta pensieri solistici e differenti scritture.
Se nella ‘Retorica’ di Aristotele Éthos è, assieme a Logos e Pathos, uno degli elementi del ragionamento filosofico questa opera prima insegue un logico dialogo che è nel contempo ragione ed emozione, mito e contemporaneità. Opera in grado di fondere il misticismo di Arvo Pärt con il minimale di Michael Nyman, la latinità di Villa Lobos e di Federico Mompou con le geometrie di Karl Jenkins passando attraverso le composizioni originali che bene si innestano in un tracciato volutamente scarno ma allo stesso tempo caleidoscopico.
La teoria ed il piacere del vivere racchiuse in Éthos sono qui declinate con intelligenza, passione e rispetto per l’arte che è anche arte degli incontri: quelli con i vari ospiti che non solo impreziosiscono il lavoro ma che vi partecipano, in veste di solisti o di compositori, condividendone appieno quel pensiero essenziale che permea l’intero cd e che ne fa un’opera da cogliere nella sua profondità.
Per questo Éthos è poesia pura. E’ poesia del silenzio che veste i suoni luminosi dell’alba“
Paolo Fresu

In un periodo “grigio” come quello che stiamo passando, qualsiasi cosa che ci possa far star meglio è ben accetta, a partire dalla musica che sa farci dimenticare per un certo periodo i nostri problemi.
Ed ecco allora un buon antidoto con il nuovo disco del Quartetto Alborada, miscela sapiente di suoni dove tutto funziona a meraviglia grazie alla bravura dei musicisti del gruppo e ad alcuni ospiti del mondo del jazz.
Uno di questi è Paolo Fresu che, ancora una volta, accetta di buon grado di collaborare con il gruppo, a testimonianza di una sua naturale apertura anche verso il mondo classico e contemporaneo.

Il Quartetto, composto da Anton Berovski, Sonia Peana, Nico Ciricugno e Piero Salvatori, si è formato nel 1996 e ha fin dall’inizio basato il proprio repertorio sulla musica del Novecento, privilegiando alcuni autori dal tocco minimale, ma ha anche voluto suonare in simbiosi con il mondo della musica jazz come testimoniano, fra le altre, le collaborazioni con Eugenio Colombo, Michel Godard, Giancarlo Schiaffini, Enzo Favata, Stefano Battaglia e Paolo Fresu.

Inoltre, hanno realizzato diverse colonne sonore per il cinema, come “L’age d’or” di Bunuel e il film sulla vicenda della giornalista Ilaria Alpi dal titolo “Il più crudele dei giorni,” con musiche dello stesso Fresu.

Quest’ultimo, nelle belle note di copertina, ci ricorda come “Ethos” è pura poesia, trasformata in musica, con le sue pause e i suoi silenzi. Un viaggio che inizia con “The Fifth Season,” dove il suono del Quartetto sembra voler dirci: signori, si comincia, vogliamo con discrezione introdurvi in questo mondo incantato eppur reale, dove è solo la musica dell’anima che conta.

In questo cammino, la prima a raccogliere l’invito è Rita Marcotulli in un brano intitolato “Elettra’s Magic Stick” scritto e cantato dalla stessa, molto intimo e sottolineato dal suo canto sussurrato e cristallino, accompagnata dal suo pianoforte e con gli archi di sottofondo.

La forza del gruppo di unirsi in simbiosi con i vari strumenti viene sottolineata in “Canto” scritto da Di Bonaventura, dove la sua fisarmonica si amalgama perfettamente con gli archi, ma anche gli effetti elettronici si sposano bene con l’ensemble, prova ne è “Quartetto n.2 tempo terzo”.
In “Gitanes” è da sottolineare la performance di Maria Pia de Vito che ha scritto il testo su musica di Federico Mompou, in una sua personale visione su persone sempre in viaggio.

E, ancora, ci lasciamo accompagnare in questo viaggio con “Fratres,” il brano più lungo a firma Arvo Part che si snoda in undici minuti da ascoltare in religioso silenzio, con la tromba di Fresu che profuma di storia antica.

Le quattro tracce dove il quartetto suona da solo rappresentano ognuna uno spaccato della sensibilità del gruppo, della loro esuberanza, ma anche della loro sensibilità. Un lavoro che sarà per molti una piacevole scoperta e per chi conosce già la formazione un ulteriore riconferma della loro bravura.

di Emilio Palanti

Quartetto Alborada
“Éthos”
(2008)
Anton Berovski, violin
Sonia Peana, violin
Nico Ciricugno, viola
Piero Salvatori, cello
Paolo Fresu, trumpet & electronics
Rita Marcotulli, piano & voice
Maria Pia De Vito, voice & electronics
Daniele di Bonaventura, bandoneon
Angelo Adamo, chromatic harmonica
Cristian Orsini, electronics
Total Time: 63:53

Sembra proprio che i Paesi Nordici continuino a “sfornare” musicisti di valore in modo incessante e non solo in ambito jazz. Sono paesi in cui si investe molto sui giovani (al contrario dell’Italia?) e i risultati alla fine premiano.

La giovane Aagre oltre agli studi di composizione, terminati recentemente all’Accademia di Musica di Oslo, vanta numerosi live in famosi jazzclubs mondiali e, dulcis in fundo, studi prestigiosi con i più noti ed importanti maestri della musica quali il formidabile e noto sassofonista David Liebman; in qualche modo la mano di Liebman si avverte nell’ascoltare le composizioni della sassofonista norvegese. Nel 1999 Frøy Aagre ha vinto inoltre un prestigioso premio da un’associazione norvegese di musicisti jazz e dalla Scandinavia Airlines.

Anche gli altri strumentisti non mancano certo di estro e buona tecnica confermando di possedere ottime qualità e personalità. Se Williamsen al basso sembra dotato di una tecnica sopraffina sempre al servizio del gruppo, ed Augal con il suo drumming morbido e frizzante coinvolge e dipinge i paesaggi disegnati dalla Aagre, di certo il pianista Ulvo Laugues non sfigura, nonostante sia ancora attualmente uno studente dell’Accademia di Musica di Oslo.

Katalyze, il loro primo album è senza dubbio un progetto davvero originale e consistente, che mostra anche un nuovo ed intuitivo sistema di visualizzazione della musica attraverso i media. La realizzazione degli ambienti multimediali creati con Macromedia ha in qualche modo dell’innovativo. Lo zampino della Aagre è quindi presente in tutto e per tutto, mettendo in risalto le sue molteplici doti artistiche. La bandleader è infatti specializzata in Music for Interactive Media, un master conseguito a Londra durante la sua formazione.katalyze

Otto tracce capaci di scorrere dolcemente una dopo l’altra evidenziando il carattere caldo ed elegante di tutte le esecuzioni. Quindi non jazz per i soli cultori del genere ma raccomadabile a tutti.

Frøy Aagre – OffbeaT
Katalyze

1. Lee Valley
2. Slow Train
3. Norwegian Mountains
4. Frøyish
5. Beatitude
6. Thanks Heaven for a tune in eleven
7. Been There
8. One Day
Bonus Track:
1. Afternoon tea (full version)

All compositions and arrangements by Frøy Aagre copyright 2004

Frøy Aagre sax
Andreas Ulvo Langnes piano
Roger Williamsen bass
Freddy Augdal drums

_________________________________

Torna alla ribalta dal grande nord Europa un’artista (Frøy Aagre) che si è affacciata nel panorama mondiale musicale circa un anno e mezzo fa con il primo lavoro autoprodotto dal nome Katalayze. Un album che ha lasciato il segno. Come spesso accade poi, l’artista o il gruppo in questione vengono investiti da una responsabilità notevole; come se non si potesse fallire dopo un esordio così spumeggiante. Lo stesso ascoltatore se non sufficientemente attento potrebbe rimanere deluso: ed è proprio in questo caso, vale a dire nel recente Countryside, che chiunque potrebbe rimanere incerto e stordito nell’interpretare l’ultima fatica di questa sassofonista norvegese, figlia di una scuola che vede l’impronta del grande Liebman. Ci risiamo verrebbe da dire…..Da un ascolto più accurato invece, si viene catturati da un universo musicale tutto da scoprire: si penetra nell’ascolto rapidamente ma al termine di tutto rimangono dei piacevoli “se” e “ma”. Saranno gli ascolti successivi a regalarci piacevoli risposte.

Frøy Aagre ha voluto letteralmente esplorare vari mondi e chi come me ha avuto il piacere di poter ascoltare anche il precedente “Katalyze” non può non realizzare che aveva un cuore di stampo jazz moderno, più vicino all’orecchio commerciale mentre quest’ultimo non si presta ad essere catalogato né sotto un genere né sotto un altro. Colpiscono le linee e le figure scolpite da quei suoni attenti ad un interplay polifonico non lasciato al caso. Ancora adesso mi resta qualche dubbio ma subito dopo non posso dimenticare quei sorrisi comparsi nel fluire inesorabile della musica.countryside

Questo Countryside nasce da esperienze musicali che hanno intensificato il background di questa artista soprattutto nell’anno passato. Molte delle composizioni prendono ispirazione dalla natura e dai differenti viaggi tra cui il Canada che deve aver segnato tanto la sassofonista. Ma le stesse melodie provengono da quella “campagna” norvegese, dove all’interno di un cottage di gran fascino, è stato preparato il tutto. Frøy Aagre torna con una grande spalla al suo fianco: l’ottimo pianista Andreas Ulvo che riesce a dialogare egregiamente anche con il resto del gruppo. Tutti restano però soggiogati dal fascino musicale della sassofonista che in questo caso si ripropone maggiormente in veste di solista verrebbe da dire. Il nuovo album vede oltre all’ingresso dello splendido bassista Ellingsen, la violoncellista Ravnan proveniente dalla Filarmonica di Oslo e Michelsen al clarinetto, entrambi presenti in qualche traccia.

La signorina Aagre è stata nel frattempo vincitrice di una borsa di studio concessa dal governo norvegese che le ha permesso di esplorare ancora più a fondo l’universo musicale

Froy Aagre
Countryside

1. The Wheel
2. Solid Gold
3. Last Waltz
4. Rainy Afternoon
5. Canadian Rockies Pt. 1
6. Canadian Rockies Pt. 2
7. Fastball
8. A Nice Walk
9. Countryside

Froy Aagre – Tenor and soprano saxophones
Andreas Ulvo – Piano
Audun Ellingsen – double bass
Freddy Wike – drums

Guest:
Kari Ravnan – cello
Morten Michelsen – clarinets

Recensioni di Alessandro Gibelli
Qualche pezzo:


yamamoto

ERI YAMAMOTO

Dal quando approdò negli Stati Uniti, nel 1995, Eri Yamamoto si impose come uno dei più originali e interessanti pianisti e compositori jazz. Non a caso, la leggenda vivente del jazz, Herbie Hancock disse di lei, “mi tolgo il cappello Eri ha già trovato il suo stile.” Il trio di Eri Yamamoto, con il suo suono ricercato e il vasto repertorio, si è creato un largo seguito a New York, e di recente ha concluso i tour nel Regno Unito, Galles, Spagna e Giappone, con apparizioni in festival di rilievo come quello di Cheltenham in Inghilterra, Terrazza in Spagna e Shiga in Giappone. Eri ha collaborato con musicisti importanti ed acclamati come William Parker, Daniel Carter, Hamid Dramme e Federico Ughi, che hanno collaborato anche per il suo nuovo disco, Duologue, pubblicato da AUM Fidelity.

Eri nacque 32 anni fa ad Osaka, in Giappone, ed iniziò a suonare il pianoforte all’età di 3 anni. Si cimentò con la composizione all’età di otto anni e negli anni delle superiori e dell’università studiò canto, viola, e composizione.

Nel 1995, ha visitato New York per la prima volta, e per caso ha sentito una performance di Tommy Flanagan. Fu così colpita da questa esperienza che decise di trasferirsi a New York e dedicarsi allo studio del jazz. Più tardi quello stesso anno, Eri entrò al New School University, dove ha studiato con Leeann Ledgerwood, e Reggie Workman.

Nel 1999, mentre è ancora a scuola, inizia a suonare al Avenue B Social Club, un luogo popolare tra i musicisti jazz in East Village. Dal 2000, il trio di Eri suona quasi tutte le sere al Arthur’s Tavern, uno storico jazz club di New York del Greenwich Village. In aggiunta al recente tour europeo si è esibita al Hartford International Jazz Festival e An Die Musik a Baltimora.

Il Trio è composto da Dave Ambrosio e Ikuo Takeuchi, e il suo nuovo CD, Redwoods è pubblicato sul catalogo di AUM Fidelity. Eri ha recentemente partecipato a due registrazioni di William Parker, Luc ‘s Lantern e Corn Meal Dance, e si è esibita insieme al suo trio e sestetto in Italia, Olanda, Norvegia, Tunisia e Portogallo. Ha anche lavorato con musicisti del calibro di Ron McClure, Andy McKee, Lewis Barns, Rob Brown, Leena Conquest, Butch Morris, Arthur Kell, Kevin Tkacs, Pentecoste Dicky, Christopher Dean Sullivan e Michael Thompson TA. Nel 2008, Eri, per la prima volta, ha fatto un tour di concerti per solo pianoforte in 8 città italiane dove riscosse un grande successo.

INTERVISTA CON ALL ABOUT JAZZ

Eri Yamamoto, pianista e compositrice giapponese da anni residente a New York, si è recentemente imposta all’attenzione degli appassionati per le sue collaborazioni con William Parker e per l’uscita di due dischi per la AUM Fidelity, entrambi nel 2008: Duologue e Redwoods.
Pianista eclettica nelle forme espressive e vivacissima sul palcoscenico, Eri Yamamoto ha una personalità che emana entusiasmo in modo contagioso. L’abbiamo intervistata in prossimità della sua breve tournée in Italia.

All About Jazz – Le biografie parlano dei tuoi studi classici in Giappone e di come tu sia stata fulminata dal jazz durante un viaggio negli USA. Puoi raccontarci com’è andata?

Eri Yamamoto – Sono nata in Giappone, ad Osaka, e ho cominciato a suonare il piano a tre anni, seguendo insegnamenti classici. Ho cominciato a comporre a otto anni e ho studiato voce, viola e composizione durante gli anni della mia scuola superiore e del college.

Nel 1995, durante la pausa autunnale della scuola, ho visitato New York per la prima volta e ho ascoltato per caso un concerto di Tommy Flanagan. Rimasi fortemente impressionata da questa mia prima esperienza di ascolto di un piano trio jazz. Dopo il primo set, con un certo coraggio, chiesi a Tommy: “vorrei diventare come te. Per favore, dimmi cosa devo fare”. Lui mi rispose: “se desideri diventare una musicista jazz, allora devi venire a New York!”. Io dissi semplicemente: “Ok!”.

Decisi all’istante di trasferirmi e di dedicarmi allo studio del jazz. Rinunciai al mio diploma e dopo un mese dal mio incontro con Tommy ero già a New York.

Quando arrivai non avevo nessuna idea di dove poter studiare jazz. Nel corso della prima settimana, raccolsi per caso un giornale nel quale scoprii che il Mal Waldron Quartet suonava allo Sweet Basil. Dato che non ero cresciuta con il jazz, conoscevo allora solo pochi nomi di musicisti, come Miles Davis (lo si poteva trovare sulle TV commerciali giapponesi), Oscar Peterson e, fortunatamente, anche Mal. Il suo brano “Left Alone” veniva usato come colonna sonora da molte TV giapponesi.

Così andai allo Sweet Basil, quella notte, e dopo il primo set chiesi a Mal se conoscesse qualcuno che mi potesse insegnare il piano jazz, o qualche posto dove potessi studiarlo. Egli mi disse: “sì, il mio bassista conosce una scuola, te lo presenterò”. Era Reggie Workman.

Reggie mi scrisse un indirizzo su un tovagliolo di carta, e disse: “domani vai a questo indirizzo”. Il giorno successivo mi presentai; si trattava del programma jazz della New School University e Reggie era uno dei direttori (lo è ancora). Ho passato tre anni in quella scuola, ed è stato splendido! Ho imparato molto, suonando con un gran numero di musicisti diversi, giorno e notte, tutti i giorni. Giunta al sesto mese iniziai a fare concerti con un mio trio. Suonavamo alcuni standard che avevo arrangiato e molti miei brani originali.

Nel 1999, mentre ero ancora alla New School, cominciai a suonare regolarmente all’Avenue B Social Club, un posto popolare tra i musicisti jazz dell’East Village. Là ho conosciuto e sviluppato l’amicizia con il pianista Matthew Shipp.

AAJ – Qual è il tuo rapporto con la storia dello strumento nel jazz? A quali autori ti ispiri maggiormente?

E. Y. – Quando studiavo alla New School, ho appreso moltissimi standard americani e jazz. Ho iniziato ad ascoltare e trascrivere Bud Powell, Wynton Kelly e Charlie Parker. Amo particolarmente il senso dello swing di Wynton Kelly e il suo tocco pianistico. In seguito ho ascoltato Bill Evans, Herbie Hancock, Keith Jarrett, Ahmad Jamal e così via.

Poi, nel 1996 ci fu un grande Jazz Festival alla Knitting Factory di New York City. Lì ascoltai quasi tutti i musicisti che uno può immaginare. Sentii per la prima volta il trio di Paul Bley con Gary Peacock a Paul Motian. Quando li ascoltai fu una rivelazione. Realizzai in quel momento quanti tipi diversi di jazz esistano, e pensai: “Ok, posso continuare a scrivere la musica che scrivevo quando avevo otto anni e cominciare a suonarla e risuonarla”.

AAJ – Come descriveresti il tuo stile strumentale? E quale genere preferisci suonare?

E. Y. – Mi piace esplorare con il pianoforte numerose strutture – talvolta singole linee, talaltra densi gruppi di accordi. Mi piace aggiungere indicazioni di tempo e suonare linee di basso o ostinati con la mano sinistra. Qualche volta mi diverto ad ampliare delle sezioni aperte senza armonia, qualche altra a suonare variazioni. Parte della mia musica utilizza elementi funky, blues, gospel e persino rock. Piuttosto che ascoltare i toni cromatici, qualche volta presto attenzione alle note intermedie, mi piace legarle in un portamento. E certe volte suono accordi bizzarri, per provare a creare quei suoni che ascolto nella mia testa. Nel trio mi piace improvvisare con un suono di gruppo. Amo il suono della band, lo preferisco al pensarmi musicista protagonista. Il mio non è un pianoforte accompagnato da contrabbasso e batteria, ma un trio che fa musica assieme.

AAJ – In che modo tieni assieme queste differenti influenze stilistiche?

E. Y. – Sono cresciuta ascoltando musica diversa, prevalentemente attraverso la radio. Per questo sono molto aperta alla diversità musicale e non mi interessa quale sia il “Genere”. Si tratti di rock inglese o americano, di blues, di classica o di reggae, di world music o di pop.

AAJ – Pensi di essere stata almeno un po’ influenzata dalla musica tradizionale del tuo paese, il Giappone?

E. Y. – No, penso di no. Comunque, sono cresciuta a Kyoto, città nella quale si può più che in ogni altra fare esperienza della cultura tradizionale giapponese, inclusa quella musicale. Per questo la musica tradizionale del mio paese mi è molto familiare e mi piace molto come i musicisti tradizionali aprono spazi e prendono respiro tra una frase e l’altra.

AAJ – Che rapporto c’è tra musica scritta e improvvisata nel tuo modo di suonare?

E. Y. – Le mie composizioni contengono giusto l’informazione minima indispensabile: ogni volta che suono, da sola o in gruppo, le eseguo in modo differente. Creare nuove situazioni improvvisando è per me la parte più emozionante delle performance.

AAJ – A cosa pensi mentre stai improvvisando?

E. Y. – Di star provando a dipingere con il colore ciò che sento in quel momento, o che stiamo sentendo assieme come membri della band.

AAJ – Parlaci delle tue collaborazioni ed esperienze più importanti in questi tredici anni negli States e nel jazz.

E. Y. – Ce ne sono molte. Una, molto lunga, è quella del mio trio con David Ambrosio e Ikuo Takeuchi. Con loro, nell’arco di dodici anni, abbiamo realmente cercato di avere una voce unica e di dare alla nostra musica un unico carattere. Il nostro nuovo CD, Redwoods, è uscito per la AUM Fidelity e vi compaiono otto mie composizioni originali.

AAJ – Come sei entrata nel gruppo di William Parker, oggi considerato dalla critica uno dei musicisti più importanti e creativi della scena internazionale?

E. Y. – Si tratta di un’altra delle mie esperienze più significative. Venni raccomandata a William da Matthew Shipp, per la registrazione in trio del suo Luc’s Lantern. Più tardi William mi chiese di prendere parte a un tour in Italia e in Olanda, in trio con lui e Hamid Drake. Gli piacque molto il mio modo di suonare e così mi chiese di unirmi alla band “Raining on the Moon”, che precedentemente non aveva un pianoforte in organico. Registrammo Corn Meal Dance e suonammo assieme in numerosi concerti. Dopodiché sono diventata parte integrante dell’organico.

William non è solo un grande musicista, è una splendida persona; attraverso l’incontro con lui e con la band (nella quale tutti sono deliziosi) ho imparato che la musica è importante, ma che lo è anche amare la gente e godere della propria vita.

L’inverno scorso ho sognato di registrare dei duetti con William e tre altri fantastici musicisti: Hamid Drake, Daniel Carter e il romano Federico Ughi. Nel mio sogno stavo persino ascoltando la musica che avevo registrato con loro. Il CD, Duologue, è poi uscito anch’esso per la AUM Fidelity e include due brani composti appositamente per ciascuno dei musicisti.

AAJ – Sono i frutti della tua maturità come jazzista?

E. Y. – Il mio atteggiamento e il mio spirito nei confronti della musica sono oggi gli stessi che avevo all’epoca del mio primo album. Non c’è un punto di maturità: si continua ad andare avanti per sempre.

AAJ – E allora, verso quale direzione ti dirigerai in futuro?

E. Y. – A novembre terrò il mio primo concerto per piano solo a Firenze, poi a Milano e a Catanzaro. Sono molto emozionata per quest’esperienza e mi piacerebbe fare una registrazione in solo, prossimamente.

Vorrei anche collaborare con molti, moltissimi altri nuovi musicisti. Sono molto interessata a suonare e collaborare anche con musicisti italiani: ce ne sono tanti veramente fantastici.

LA DISCOGRAFIA

redwoodscolorscobalt-blueduologuetrhee-feel11) Three feel

2) Colors

3) Cobalt blue

4) Duologue

5) Redwoods

Piano solo a Milano

http://www.francescocafiso.com/

Francesco Cafiso

Francesco Cafiso

Francesco è un musicista e compositore, considerato uno dei talenti più precoci e importanti della storia del jazz. Nel 2006 ha conseguito il diploma in Flauto traverso con il massimo della votazione al Liceo Musicale Parificato V. Bellini di Catania. Ha suonato diverse volte in USA esibendosi al Lincoln Center nella “Alice Tully Hall” e nella “Avery Fisher Hall” oltre che al Birdland, all’Iridium, al Dizzy’s Club Coca Cola, al BB King, prestigiosi jazz club di New York. Si è esibito inoltre in altri Festivals internazionali quali quello di New Orleans, di Montreal, di Melbourne, di Tokio, di Londra, di Ouro Preto in Brasile, di Tallin in Estonia, nei grandi festivals europei tra cui, Vienna, North Sea (NL), Umbria Jazz, Pescara Jazz e moltissimi altri. Nel marzo del 2004 ha partecipato con successo, come ospite d’onore, al Festival di Sanremo. Nel 2008 ha diretto, con grande successo, il 1° “Vittoria Jazz Festival”, svoltosi a Vittoria, sua città natale. Il 19 Gennaio del 2009 ha suonato a Washington DC durante i festeggiamenti in onore del Presidente Barak Obama e del Martin Luther King Jr. day.

Collaborazioni

Ha collaborato con artisti di fama internazionale come Bob Mintzer, George Gruntz, Maria Schneider, Gianni Basso, Joe Lovano, Hank Jones, George Mraz, i Manhattan Transfer, Wynton Marsalis e la Lincoln Center Orchestra, la Count Basie Orchestra, Dado Moroni, Reggie Johnson, Doug Sides, Enrico Rava, Cedar Walton, Lewis Nash, Joe Locke, Mulgrew Miller, Ronnie Matthews, Jimmy Cobb, Jessie Davis, James Williams, Ray Drummond e Ben Riley, Vincent Harring e Wess Anderson.

Il suo attuale quartetto è formato da Dino Rubino, Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli. Si esibisce spesso in una formazione denominata Island Jazz Quartet formata da Giovanni Mazzarino al pianoforte, Nello Toscano al contrabbasso e da Dino Rubino che, in questo progetto, suona la tromba.

Premi

Nel 2001 vince il “Premio nazionale Massimo Urbani”. Nel Settembre 2003 gli viene assegnato il Premio Positano Jazz.
Nel 2004 partecipa all’annuale Convention degli educatori di jazz (I.A.J.E.) a New York durante la quale riceve l’International Jazz Festivals Organization Award (I.J.F.O.). In novembre 2004, vince la “World Saxophone Competition” durante il London Jazz Festival. In giugno del 2005, alla Casa del Jazz, a Roma, gli viene conferito il prestigioso premio “Django d’Or” come miglior giovane musicista. Sempre nel 2005 la “Swing Journal”, l’autorevole rivista giapponese di musica jazz, gli conferisce il “New Star Award” premio riservato ai talenti stranieri emergenti. Subito dopo, l’affermazione nel Top Jazz, referendum della rivista italiana Musica Jazz, che lo riconosce miglior nuovo talento dell’anno 2005. La rivista francese Jazz Magazine nel numero di novembre del 2005 lo ha incluso tra i “125 talents pour demain et aujourd’hui”, una lista che comprende i più significativi jazzisti under 40. Nel 2005, Down Beat, la prestigiosa rivista statunitense dedicata alla musica jazz, ha inserito il concerto eseguito al Pescara Jazz Festival nel luglio 2002, in duo con il pianista Franco D’Andrea, tra i 25 più importanti eventi della storia del jazz.

Discografia

* Portrait In Black And White – con Giovanni Mazzarino, Dino Rubino, Nello Toscano. Venus, CD (2008)
* Seven Steps To Heaven – con Andrea Pozza, Aldo Zunino, Nicola Angelucci. Venus, LP (2006)
* Happy Time – con Riccardo Arrighini, Aldo Zunino, Stefano Bagnoli. Camjazz, CD (2006)
* Jazz Italiano Live 2006 – Live at Casa del Jazz, Rome – con Sandro Gibellini e Aldo Zunino. Gruppo editoriale l’Espresso (2006)
* Tribute to Charlie Parker – con il quartetto e i Solisti di Perugia. Umbria Jazz Rec., CD (2005)
* New York lullaby – David Hazeltine, David Williams e Joe Farnsworth. Venus, LP (2005).
* Concerto for Petrucciani – con Riccardo Arrighini (Trio) – Philology, 2 CD (2004)
* Standing Ovation Pescara – con Franco D’Andrea – Philology, CD (2003)
* First – Orchestra jazz del Mediterraneo (Guest Pietro Tonolo) – Philology, CD (2002)
* Very Early! – con Stefano Bollani, Fabrizio Bosso, Franco D’Andrea – Philology, CD (2001)

Sentite il sassofono geniale:

Hiromi Uehara

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Hiromi Uehara prese le prime lezioni di piano all’età di 6 anni, dimostrandosi subito dotatissima, precoce e rapida nell’apprendere. All’età di 7 anni entrò a far parte della prestigiosa Yamaha School of Music, e a 12 anni si esibì per la prima volta in pubblico con orchestre di prestigio. A 14 anni Hiromi si recò in Cecoslovacchia dove ebbe modo di suonare con l’Orchestra Filarmonica Ceca. A 17 anni ebbe l’occasione di suonare dal vivo con il pianista di Miles Davis, Chick Corea. Egli, avendo sentito del talento della ragazza, decise di incontrala a Tokio e, dopo un provino, la invitò a partecipare al concerto che avrebbe tenuto nella città il giorno seguente. Nel 1999 Hiromi si iscrisse al prestigioso Berklee College of Music di Boston, dove si diplomò col massimo dei voti nel 2003. Alla Berklee conobbe il celebre pianista Ahmal Jamal, che col tempo è diventato suo mentore. Dello stesso anno è il suo EP, interamente scaricabile in forma gratuita dal suo sito, dal titolo “XYZ”. Il 26 gennaio 2008 nasce il suo primo e unico fanclub ufficiale, tramite un accordo scritto tra la stessa Hiromi e un suo fan italiano. Dal debutto del 2003, Hiromi continua il suo tour in tutto il mondo e partecipa ai più prestigiosi Jazz Festival del mondo.

Veloce e precisa, eppure poetica, Hiromi si sta imponendo sulla scena musicale per l’innovatività delle idee e per il nuovo concetto di musica che sta creando. La sua, è un’insalata Jazz, che si fonde con la melodia del pop e un pizzico di rock che rende le sue canzoni uniche nel loro genere. Suona solitamente in trio (tastiera elettronica/piano, basso e batteria), anche se in un’intervista rilasciata in occasione della partecipazione ad Umbria Jazz 2004 ha dichiarato la preparazione di alcune partiture per orchestra. La più evidente particolarità di questa giovane artista è la capacità di fondere jazz e free jazz tradizionale con elettronica e sonorità orientali. E’ un colosso del panorama internazionale, che dal suo primo album ha dato subito l’idea di chi sia e delle emozioni che riesce a trasmettere nei suoi live.

LA SUA DISCOGRAFIA

XYZ (2003)
Another Mind (2003)
Brain (2004)
Spiral (2005)
Time control (2007)
Beyond Standard (2008)
Duet con Chick Corea (2008)

Ecco una sua performance:

La mia collezione

Pubblicato: 17 febbraio 2009 in Personale
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La mia collezione di musica non è molto grande. Ad oggi possiedo 1649 album o cd se volete chiamarli così. Parte di questa collezione è abbastanza vecchia in particolare per quanto riguarda il rock anni 70 e 80. Al jazz mi sono avvicinato negli ultimi 7 anni cercando di arricchire il più possibile il mio archivio. La prima cosa che ho constatato occupandomi di questo nuovo genere (per me ovviamente!) è stato il fatto che di correnti (chiamateli pure stili, sottogeneri ecc.) ce ne sono tantissimi.  Ma di questo voglio occuparmi in un post futuro.

Ritornando sulla mia collezione 573 album sono di jazz. Di tutte le correnti. Altri 327 vanno dal Rock, Hard Rock e heavy metal. Il resto sono generi diversi (di tutti i tipi) eccetto la musica classica che sono 90 album. Anche se può apparire strano la musica classica, per certi aspetti, si avvicina parecchio al jazz.

La mia collezione su itunes

La mia collezione su itunes

Si, uso itunes per ascoltare la musica. Trovo molto comoda la gestione delle playlist e mi entusiasma la possibilità di trovare qualsiasi album o traccia al istante.

Ecco adesso sapete qualcosa di più su di me e sul mio amore.

A presto

Niko

Forse avevo 4 o 5 anni quando a casa di nonna dove vivevo è arrivata la radio. Un apparecchio a valvole che quando veniva acceso passava qualche minuto per riscaldarsi ed iniziare a funzionare. Ecco! Quasi una magia per la mia età. I suoni possiedono una specie di magia. Io lo so.
Da allora non ho mai smesso di ascoltare la musica. All’inizio in maniera confusa poi più ragionata. Ho attraversato tutti i generi, dalla musica più popolare alla classica toccando il rock, il metal, la musica etnica il jazz… già il jazz! Il genere che amo più di tutti… Anche se non è propriamente un genere… Nel film il “pianista sull’oceano” c’è una scena molto bella, di effetto: dopo aver suonato la tromba al co-protagonista viene chiesto: “ma che genere di musica è?” e lui risponde semplicemente: “non lo so!” e un altro dice: “ma allora è jazz!!!”
Ecco, forse questa scena definisce anche se non descrive perfettamente cos’è il jazz: sentimento, visrtuosismo, improvvisazione, tecnica e amore.
Si può innamorare di tutto senza riserve. E’ la verità. Delle cose più strane a volte. Ma la musica è l’unica espressione d’arte o più semplicemente “occupazione” umana che genera un ponte cortissimo tra sentimento, istinto se volete, animale e realtà tangibile, espressione artistica, per sua natura più elaborata e codificata.
Eccomi qui, dunque. Mi chiamo Niko ed è mia intenzione parlare in questo blog dell’mio amore più duraturo: la musica. Ma vi avverto che non sono un critico ma semplicemente uno che ama la musica, un fruitore. Perciò, se vorrete, insieme a voi, condividerò questa mia “mania”.
A presto
Niko